La storia

Il catino in pietra arenaria dove Fra' Bonaventura sciacquava piatti e pentole quando giunsero gli emissari di Papa Gregorio X per consegnargli le insegne cardinalizie e la nomina a vescovo di Albano Laziale(Luglio 1273)Cappella di San Bonaventura
Il Cristo di Donatello.Legno di pero e gesso, 168 x 160 cm. (1440 ca.)Sala del Capitolo

L’insediamento venne fondato attorno all’anno 600 (VII secolo) dalla famiglia degli Ubaldini, definita “nobilissima e potentissima”, proprietaria di un vasto territorio nel periodo del feudalesimo. Il luogo venne offerto ai monaci di San Basilio che costruirono una piccola cappella ed un locale ad uso dei pellegrini.

I monaci basiliani vissero in questo sito, secondo la memoria di Fra' Giuliano Ughi della Cavallina, fino all’anno 1012. Poi il Bosco ai Frati rimase abbandonato per circa 200 anni, fino al 1209-1012 quando gli Ubaldini chiamarono a risiedervi i frati francescani


“In loco de Nemore” - Non esiste alcun documento che possa dare certezza della presenza, o più semplicemente di una o più visite, di San Francesco al Bosco ai Frati. Tuttavia c’è una ricostruzione, di oltre un secolo successiva ai fatti, scritta dal Beato Bartolomeo da Pisa (o da Rinonico, anagrafica incerta ?-1401), che ne attesta genericamente il passaggio, con queste parole: “In loco de Nemore (trad. “bosco”, “boschetto”) etiam fuit beatus Franciscus et frater Bonaventura cardinalis noster primus, ibidem cappellum recepit”. Frase tratta dal testo “De conformitate vitae Beati Francisci ad vitam Domini Iesu” scritto fra il 1380 e il 1385. Si tratta della prima citazione temporale giunta ai nostri giorni. Certamente da questa derivano tutte le altre riprodotte nei testi sulle cronache e storie del francescanesimo: da la “Cronica dei conventi di Toscana” di Fra’ Dionisio Pulinari (1580) agli “Annales Minorum” di Fra’ Luke Wadding (1654). Un unico convento francescano fin dalla sua fondazione è ricordato come “il convento del Bosco”: quello di Bosco ai Frati. 


Nel mese di luglio dell’anno 1273, Fra’ Bonaventura da Bagnoregio (ovvero da Civita di Bagnoregio), che in seguito verrà fatto santo e Dottore della Chiesa (Doctor Seraphicus), ricevette dagli emissari di Papa Gregorio X, nell’orto del convento, le insegne cardinalizie e la nomina a vescovo di Albano Laziale. La storia ufficiale narra di Fra’ Bonaventura, intento a sciacquare piatti e pentole in un grande catino di pietra, tutt’ora presente nel convento, il quale chiese agli emissari di appendere le insegne ad un ramo di una pianta, un corniolo, in quanto voleva terminare quel suo lavoro. Ed anche una pianta di corniolo è ancora esistente nell’orto del convento.

Durante l’anno 1349 (circa) la grave peste si diffuse in Toscana e i frati francescani abbandonarono il convento, per la prima volta su tre (le successive furono dal 1810 al 1815, per le imposizioni napoleoniche e granducali e dal 1866 al 1870 per le leggi del Regno d’Italia sulla soppressione degli ordini religiosi e la requisizione dei loro beni).

Nel 1420 la famiglia de’ Medici, tramite Cosimo “il Vecchio”, acquistò una vasta tenuta terriera nel Mugello, compresi i terreni di Bosco ai Frati. Nel 1427, con una bolla del Papa Martino V, dopo circa 80 anni di abbandono, i frati francescani fecero ritorno nel convento. Iniziò il periodo d’oro del Bosco ai Frati, per almeno due secoli. Il patronato della famiglia Medici e la loro munificenza fecero giungere nella chiesa e nel convento importanti opere d’arte, in specie pale d’altare, dipinti ed inestimabili volumi miniati come dotazione per una grande biblioteca. Dal 1427 fino al 1436, forse 1438, furono realizzati dei lavori di ristrutturazione e di rifacimento ad opera dell’architetto Michelozzo.

La più famosa pala d’altare, dipinta fra il 1450/1452 è la cosiddetta “La pala di Bosco ai Frati”, titolata “Sacra conversazione”, un’opera di Giovanni da Fiesole detto Beato Angelico”. Purtroppo, a seguito della normativa granducale, nel 1777, questo capolavoro venne trasferito prima nelle Gallerie degli Uffizi e in seguito nel museo di San Marco, in Firenze.

Una seconda opera conosciutissima è il trittico di Nicolas Froment, “Resurrezione di Lazzaro”, tuttavia anch’essa trasferita a Firenze, nel 1810 presso il monastero di San Niccolò in Cafaggio, poi dal 1841 nelle Gallerie degli Uffizi, nei depositi.

Attualmente solo quattro grandi dipinti sono ospitati entro le mura della chiesa. Il primo è una tela di Jacopo Ligozzi, datata 1589, dal titolo “Allegoria del cordone di San Francesco”. Poi due dipinti, sempre su tela, il primo "La deposizione" di Lodovico Cardi, detto il Cigoli”, risalente ai primi anni del 1600 e un secondo di autore sconosciuto, "La Madonna che porge il Bambino Gesù a San Francesco", inizialmente attribuito in ambito del tardo manierismo di scuola fiorentina, mentre più recentemente, per una valutazione del Dottor Bruno Santi (ex direttore dell’Opificio delle Pietre Dure) alla scuola senese di Casolani e Rustici, precisamente a Vincenzo Rustici, sempre di quello stesso periodo. Per ultima, la più antica, una tavola su legno di Antonio del Ceraiolo, datata 1510/1515, che raffigura  "L'Annunciazione”.

Nella antica stanza detta “sala del Capitolo”, ove nel 1449 si svolse appunto il terzo Capitolo generale dei frati dell’Osservanza, è stato allestito un piccolo museo di arte sacra dove è conservato il crocifisso ligneo attribuito a Donatello. Abbiamo solo una data di riferimento, il 13 Giugno 1542, quando un forte terremoto scosse il Mugello. Infatti, nella “Relazione”, scritta nel 1565 proprio da Fra’ Giuliano Ughi della Cavallina, padre guardiano al convento in quegli anni, si legge che il “grande crocifisso dell’altare maggiore cadde a terra e si ruppe una gamba, un braccio e la parte destra della testa”. Venne, dunque, trasportato a Scarperia per un restauro presso un artigiano, “un dipintore”, che per quel suo lavoro ricevette tre ducati d’oro.

Durante i primi anni del XX secolo, inspiegabilmente, il crocifisso rimosso da uno degli altari secondari della chiesa, venne riposto nella cripta scavata sotto il pavimento della chiesa. E fu lì che Alessandro Parronchi (storico e critico d’arte) e Piero Bigongiari (poeta) lo riscoprirono, nell'Ottobre del 1953. Trovarono il Cristo con in testa una corona di spine ed un panno a coprire le parti intime del corpo. Però due elementi non originali. Dopo 19 anni di restauri il crocifisso tornò al convento nella sua espressione originale, il Cristo nudo.

E’ un’opera in legno e gesso, alta 168 cm., larga 160 cm.. Non sappiamo se il gesso faccia parte della scultura originale o se sia stato introdotto nel restauro del 1542, dal “dipintore” di Scarperia.

Del resto non abbiamo certezza che possa essere un lavoro di Donatello in quanto non è stato reperito nessun documento o resoconto dell’epoca. Però c’è la convinzione che in quel periodo, il Rinascimento, con la munificenza de’ Medici, sull’altare maggiore della chiesa, a fianco o davanti alla pala del Beato Angelico, non potesse esserci una scultura di un artista sconosciuto o di scarso valore.

Gli studiosi hanno prevalentemente attribuito il crocifisso a Donatello. In pochissimi, invece, a Desiderio da Settignano (ritenuto un virtuoso dell'intaglio di materiale lapideo, con una sola opera in legno - Maddalena di Santa Trinita - giammai Cristo in croce e nudi) o a Michelozzo (per il Cristo nudo a lui attributo, cappella Cavalloni nella chiesa di san Niccolò Oltrarno).

Inizialmente venne fatta, dallo stesso Parronchi, una ricostruzione sull’origine dell’opera, traendo spunto da quanto contenuto ne “Le vitae” di Giorgio Vasari, laddove è descritta la sfida artistica fra Donatello e Brunelleschi. Donatello scolpì un crocifisso e chiamò Brunelleschi per averne un parere. Brunelleschi lo guardò e disse : “A me pare che tu abbia messo un contadino sulla croce”. A sua volta, Donatello irritato replicò : “Se è così facile tirar fuori un Cristo da legno, perché non provi a scolpirne uno”. Brunelleschi accettò la sfida e scolpì il proprio Cristo, poi chiamò Donatello così per sentire quel che ne pensasse. Donatello guardò con ammirazione il lavoro di Brunelleschi e asserì : “Sì, io credo che a te sia concesso scolpire Cristo a me solo contadini”.

Ecco, così, sulla traccia di questo racconto, fra storia e leggenda, il Parronchi pensò che il crocifisso ligneo di Bosco ai Frati fosse proprio opera di Donatello. Studi più recenti ne hanno spostata più avanti la data - dall'ipotesi del primo decennio del XV secolo (Parronchi) agli anni 1440/1460 (altri) - attribuendo il lavoro ad un Donatello ormai anziano ed alla sua bottega.

Infine il ruolo della famiglia Gerini, il riscatto e la donazione. Come anticipato, nel 1866 i frati francescani furono allontanati dal convento. Gli immobili vennero incamerati nel demanio dello Stato, il Regno d’Italia, per essere messi successivamente all’asta, nel 1869, con un valore stimato di poco oltre 9000 lire. La famiglia Gerini fece un’offerta di 30100 lire, aggiudicandosi l’intero lotto. Nel 1870 chiesero a frati francescani di rientrare nel convento e nel 1949, a seguito di un atto di donazione, la chiesa, il convento e tutti gli altri edifici divennero proprietà dell’Ordine dei Frati Minori - Provincia Toscana di San Francesco Stimmatizzzato (OFM Toscana). 

Gianni Frilli, "La chiesa, il convento e il museo di San Bonaventura al Bosco ai Frati - Una presenza di fede, nella storia" - Edizioni Noferini, 2015 - seconda edizione 2018 - terza edizione 2021

La famiglia de' Medici. Lo stemma con le sei palle è ripetuto, fra esterni e interni e su oggetti, per 21 volte
Al centro il monogramma di Cristo (o di San Bernardino da Siena) racchiuso nel cordone francescano - ai lati lo stemma de' Medici entro la ghirlanda di alloro, intrecciata con nastri (portale del vano scale, di fianco alla sagrestia)