Donato di Niccolò di Betto Bardi
Donatello (1386-1466)
Cristo ligneo (pero e gesso), 1440/1460
Ottobre 1953
La prima attribuzione della paternità artistica del Cristo di Bosco ai Frati a Donatello la si deve alle intuizioni di Alessandro Parronchi (1914-2007, poeta e storico dell’arte). Ospite di Piero Bigongiari (1914-1997, poeta), nella sua residenza di Barberino di Mugello, ebbe, in quel frangente, l’occasione di visitare la chiesa e il convento di San Bonaventura. Purtroppo però, nelle memorie arrivate ai nostri giorni, non si trova traccia del giorno preciso di questa sua escursione.
Alessandro Parronchi, qualche anno dopo, documentò con un breve scritto quanto accadde quel giorno. Scelse il titolo “Il crocifisso del Bosco” per la pubblicazione sulla rivista <Miscellanea Salmi>, edita in quel periodo in forma di annuario, nel secondo volume (Roma, 1962).
“Un giorno dell’ottobre 1953, ospite di Piero Bigongiari a Barberino di Mugello, visitavo con lui e con altri amici il convento di Bosco ai Frati. Sceso nel buio della cripta che corre lungo tutta la navata della chiesa – in tempi recenti fu adibita a sepolcreto della famiglia Gerini – e inoltrandomi fino all’altare, mi accorsi che vi era appoggiato, semiriverso, un crocifisso di legno. Alla luce provvisoria di qualche fiammifero ebbi modo, nonostante lo stato miserevole in cui si trovava, di riconoscere nell’opera un’altissima qualità. I nomi, legati a quel convento, di Cosimo il Vecchio e di Michelozzo. Mi suggerirono subito, per associazione inevitabile, un altro nome; e ne andavo fantasticando con uno degli amici, durante il viaggio di ritorno per Firenze da quella gita.”.
Donatello (Donato di Niccolò di Betto Bardi 1386-1466), è questo il sospeso “altro nome” che venne in mente al Parronchi, ma che, fra sé e sé, non proferì all’istante, quasi timoroso di voler esprimere un giudizio affrettato, o forse incredulo che potesse essere proprio lui l’artefice di una attribuzione sensazionale.
Il racconto di Parronchi prosegue: “Segnalai l’opera alla Soprintendenza fiorentina, sollecitandone al fine della ripulitura di cui essa abbisognava. Di lì a poco il crocifisso era nei locali del Gabinetto Restauri. E a un primo cauto scandaglio ci si accorgeva che la grossolana ridipintura (la pittura aggiunta nel corso degli anni, n.d.a.) nascondeva una policromia originale complessivamente in buone condizioni.”.
Il Cristo, dunque, venne trovato in condizioni disastrose. Non soltanto per la “ridipintura” che ne snaturava l’originale policromia, ma anche per la presenza di aggiunte estranee alla scultura, come la corona di spine sulla testa ed un panno a coprire le parti intime. A questo proposito, ancor oggi, sul fianco sinistro del Cristo, appena sopra il punto vita, un piccolo chiodo fuoriesce, testimonianza secolare di quella copertura.
Ancora. “Bisognava tuttavia completare il restauro, il quale presentava serie difficoltà poiché ci si era accorti che in alcune zone della testa apparivano tracce evidenti di rifacimenti. E andava poi rimosso il perizoma in tela, sotto il quale il nudo era completo. La restituzione dell’opera rimase tuttavia affidata, sotto la guida del professore Ugo Procacci, per la parte plastica a Pellegrino Banella e per quella pittorica ad Alfio Del Serra. Ed è stata portata a termine nel febbraio del 1960.”.
Gianni Frilli, "Il Cristo di Donatello - Bosco ai Frati, il crocifisso" - Edizioni Noferini, 2018 - seconda edizione 2020